24 novembre 2009

LA STANZA DELLE GRIDA

di Simone Lega - Racconto vincitore della XI edizione di "Una Storia Al Mese" -

Nero di rabbia,Santo inserì la quinta e accelerò.La strada si snodava lunga tra la campagna,il sole di fronte bruciava grande e rosso.Aveva litigato con Barbara.Stavano insieme da un anno e Santo era più che certo che ne avrebbe fatta la sua signora.Già sognavano matrimonio e bambini.In chiesa ovviamente,comunione dei beni,grande rinfresco,viaggio di nozze in crociera nei Caraibi.

Era stata la prima con cui Santo aveva fatto l’amore.Lei invece aveva già avuto un altro ragazzo e a Santo questo non era mai andato giù.Aveva imparato a convivere con l’idea ma non perdeva mai l’occasione,specie in momenti di particolare gioia comune,per farle pesare che non sarebbe mai stata veramente tutta sua.Ma ciò che davvero gli faceva saltare i nervi era il modo di pensare di Barbara riguardo al tradimento. Per lei era una cosa che “poteva anche succedere”,Santo diventava una bestia:«Non deve succedere,e se pensi che possa accadere significa che non sei seria!»

Era per questo che anche oggi avevano litigato.Per questo Santo non smetteva di premere sull’acceleratore,la musica a palla e la voglia di spaccare tutto.Lei lo accusava di essere troppo geloso,lui perdeva la pazienza e le diceva: «E tu sei una puttana!»Il tradimento non riusciva davvero a concepirlo neanche nel pensiero.Era opinione di tutti che fossero una coppia deliziosa.Venticinque anni lui,ventitré lei.Benestanti,corpi da modelli e visi da bambini.E si capiva a primo sguardo che si adoravano.

E ora ci si metteva pure l’autoradio a fargli girare le scatole:nuova nuova e già il CD saltava.Premette frenetico il pulsante per far uscire il disco,imprecando.Intanto,senza che se ne rendesse conto,la macchina aveva superato la striscia continua e viaggiava nella corsia opposta.

Santo fu richiamato dal clacson della macchina che gli veniva contro,riportò gli occhi sulla strada e sterzò con i capelli ritti in testa.Ma era tardi.Le auto si scontrarono fanale conto fanale:Santo fu sbalzato in avanti,trattenuto dalla cintura,si ritrovò seduto senza riuscire a riprendere fiato,nel petto un fuoco.L’auto sbandò,una ruota era scoppiata e per Santo,già confuso dall’impatto,era impossibile riprendere il controllo.La macchina prese a girare su se stessa con forte stridore di pneumatici,cozzando più volte contro il guard-rail.Poi si fermò di traverso in mezzo alla strada.

Santo non ebbe il tempo di slacciare la cintura:un fuoristrada stava sbucando a tutta velocità dalla curva.
D’istinto,Santo premette la mano contro il finestrino,come a proteggersi.Il fuoristrada azzannò l’auto trascinandola via,l’abitacolo esplose e la macchina si piegò a U.Santo vide la pancia nera e tagliente del fuoristrada a un millimetro dal suo viso,che premeva con una violenza inarrestabile per schiacciarlo.Non perse coscienza nemmeno per un attimo.

Quando tornò il silenzio e il mondo smise di girare,lui era lì a occhi sbarrati,il tettuccio della sua auto nuova era diventato il ventre scricchiolante del fuoristrada.Non sentiva alcun dolore.Provò a muoversi;era bloccato ma percepiva gambe e braccia.Intontito,rimase immobile ad ascoltare lo stridio delle auto che si fermavano,la gente che urlava.Poi si riebbe,dallo stomaco risalì un senso di panico,il terrore che le macchine prendessero fuoco.Cominciò a gridare.Percepì in gola un sapore salato,come di rame e capì che era il suo sangue.

Pensò subito a un’emorragia interna e per lo sconforto scoppiò a piangere.Sapeva che era così che si moriva negli incidenti.Magari uno non si fa niente e un’ora dopo si accascia e muore perché uno degli organi interni si è ammaccato e ha riempito il corpo di sangue.Capì che sarebbe morto di lì a breve,e nient’altro gli veniva in mente che Barbara.Barbara che non sapeva niente.Barbara e lui cavalcioni sulla vespa,Barbara e lui che facevano l’amore,l’odore dei suoi capelli e della sua intimità.Barbara la sua vita, che infilava la testa nel finestrino un momento prima di voltarsi ed entrare in casa e diceva:
«Stai attento per strada, mi raccomando!»

E lui per scherzo faceva rombare il motore.Per scherzo.Una risatina e un bacio.

E ora questo.Mattanza in mezzo alla strada e lui che moriva.Ma in realtà Barbara era un pretesto.Un appiglio.Pensava di piangere per lei,in realtà piangeva per se stesso.Non voleva morire.I soccorsi ci misero un’eternità ad arrivare,a sirene spiegate.Impiegarono mezz’ora a tirarlo fuori da sotto il fuoristrada,incuranti delle sue grida di dolore.Lo distesero su una barella e nessuno rispose alle sue insistenti domande balbettate: «Morirò? No,vero? Non morirò,vero?»

C’era un sacco di gente ai bordi della strada,lo guardavano pietosi.Un poliziotto robusto urlò violento che non c’era niente da guardare,e allungò frettoloso su Santo una rozza federa marrone fin quasi sopra il viso.Santo ansimava. Sudava e aveva le mani appiccicose.Dai pori gli usciva un liquido vischioso e giallastro che odorava di paura.La rozzezza degli uomini dei soccorsi lo aveva sconfortato.

Continuava a piangere.Il poliziotto che gli aveva gettato la coperta sul viso gli aveva spezzato il cuore.Certo,lo sapeva che l’incidente lo aveva causato lui,probabilmente era morta della gente,forse quegli uomini auguravano anche a lui di morire.Santo capiva,ma non era giusto lo stesso.Per fortuna nell’ambulanza con lui c’era una donna,un’infermiera,che gli strinse la mano e gli accarezzò il viso tutto il tempo.Fu di conforto ma non lo tranquillizzò perché nemmeno lei rispose alla domanda: «Stò morendo?» Anzi, lo fissava commossa.

Ma non era solo per l’incidente,c’era qualcosa che a Santo sfuggiva.La sensazione che la sua angoscia avesse origini diverse,come se ci fossero particolari importanti che non riusciva a mettere a fuoco.Anche nel viaggio in ambulanza c’era qualcosa che non andava.L’infermiera gli stette vicino mentre lo spingevano per il lungo corridoio in penombra dell’ospedale.Era già scesa la notte.Quando furono in ascensore da soli, lei riprese a toccarlo.Ma stavolta in maniera diversa.Santo non si capacitava.La donna gli infilò la mano sotto la maglietta accarezzandogli frenetica i capezzoli.Poi scese all’ombelico.Poi le porte dell’ascensore si aprirono.

Due infermieri salutarono la donna chiamandola Amanda,poi presero in consegna la barella su cui stava disteso tremante Santo.Lo spinsero dentro una stanza,probabilmente c’erano altri feriti dell’incidente perché era tutto un ululare di voci e un singhiozzare straziante.Quella donna che lo aveva toccato in ascensore… Pur terrorizzato all’idea di morire Santo non riusciva a non pensarci.Sembrava una così brava persona,gli aveva ricordato Barbara, dolce e sensibile.Aveva cercato durante il viaggio in ambulanza di far coincidere il viso della sua ragazza con quello di questa sconosciuta,per farsi coraggio.

E invece si era rivelata una pervertita.Una che si eccitava con i feriti gravi.Ragionò che se fosse sopravvissuto avrebbe denunciato lei e gli uomini dei soccorsi,poi però rabbrividì realizzando che se si erano comportati così era proprio perché sapevano che lui non sarebbe sopravvissuto.La gente intorno continuava a gridare.Le luci al neon gli bruciavano gli occhi,vedeva forme che si agitavano ma non riusciva a distinguere bene.Sentiva la pelle bruciare come un’infezione,e dove la donna l’aveva toccato il bruciore era più intenso,quasi piacere,quasi eccitazione.

Si accostarono due dottori,e chissà per quale concatenazione di pensieri Santo capì che cosa gli era parso tanto strano in ambulanza.Forse furono i neon al soffitto a suggerirglielo.L’ambulanza aveva viaggiato a sirene spente.Non che fossero accese e lui non le avesse sentite,erano proprio spente.
«Dottore sto morendo!» balbettò Santo.Il dottore ridacchiò: «Ma no. È successo anche a me. Qualche mese e ti riprenderai perfettamente.»Santo singhiozzò di sollievo.«Davvero? Me lo giura, dottore?»

Tremante, si contorceva sulla barella.Per quanto si grattasse,il prurito aumentava.Sotto i pantaloni sentiva un’erezione mostruosa.

«Anzi, starai anche meglio!» disse il dottore. «Io quando ho divorziato sono ringiovanito di dieci anni!»Santo non capì. Di che stava parlando?
Realizzò sentendo l’altro dottore che rispondeva:
«Sì, ma non riesco a capacitarmi che mi abbia lasciato per un meccanico!»
«Fidati di uno più anziano di te» lo rassicurava l’altro, «qualche mese e te la scordi!»

Santo si disperò
Perché nessuno gli dava retta?
Perché nessuno gli rispondeva?
Perché le sirene dell’ambulanza erano spente?
Quante persone aveva ucciso nell’incidente perché tutti lo trattassero così?

Il dottore più anziano rispose indirettamente a tutte le sue domande:
«A che ora è avvenuto il decesso?»
«Probabilmente nell’impatto.I paramedici l’hanno tirato fuori già morto.»Parlavano di lui.

Santo fu colto dal panico e le sue grida si unirono a quelle inarticolate degli altri.
«Non sono morto! Che dite? Non sono morto!»

Per la prima volta cercò di muoversi e si accorse di non essere in grado di compiere altro che brevi movimenti a scatto.Non poteva alzarsi,al più riusciva a tendere a malapena le braccia.Per i dottori era come se fosse invisibile.Lo fissavano freddi,senza emozione,nonostante Santo si sbracciasse e implorasse.

I due infermieri che lo avevano portato nella stanza gli tagliarono i vestiti con un paio di forbici lasciandolo nudo.Santo tremava come se avesse freddo ma in realtà la sua pelle bruciava,e continuava a sudare quel liquido giallastro e vischioso.Solo adesso si accorse di trovarsi in un obitorio. Si capovolse sotto gli occhi indifferenti di medici e infermieri,e con i denti che tremavano vide sconvolto che tutte quelle grida venivano da forme umane distese,avvolte in federe,che si agitavano disegnando inquietanti ombre sul muro,come se cercassero di districarsi dalle coperte.Erano tutti morti. Come lui.

Gli tornarono alla mente gli sguardi degli uomini dei soccorsi,della gente per strada quando lo avevano tirato fuori dall’auto,di Amanda l’infermiera perversa.

Era vero,era morto.Questa era la morte: sentiva tutto e si muoveva,o forse credeva di muoversi visto che i vivi non se ne accorgevano.Che cosa sarebbe successo ora? Doveva succedere qualcosa? Era qualche zona nascosta del suo cervello non ancora morta che tratteneva la sua coscienza? E cosa doveva aspettarsi? Quando sarebbe finita? Doveva attendere che il cervello marcisse? Aspettare la decomposizione in quello stato di veglia?

Era questa la morte.Succedeva anche a tutti gli altri.Ma come gli altri nemmeno lui riusciva a sopportarlo.Né l’idea né quella strana frenetica pulsione sessuale che aveva trasformato tutto il suo corpo in una zona erogena.Sentiva il pene scoppiare,il desiderio era inaudito,una voglia animale che non riusciva a tenere a freno.

Il dottore più anziano, quello che dispensava consigli, disse al collega: «L’autopsia è per domani alle nove.»

Poi se ne andarono,e gli infermieri spinsero la lettiga di Santo fino al muro di piombo tappezzato dagli sportelli delle celle frigorifere.Santo, rannicchiato come un bambino,pregava gli infermieri di ascoltare le sue suppliche,e invocava il nome di sua madre,e chiamava Barbara.Barbara era la vita che aveva lasciato,e non si dava pace che tutto fosse accaduto per un CD che saltava,e non riusciva a credere che non fosse un sogno,che fosse tutto finito. Mai più Barbara. Mai più.

L’infermiere biondo con la coda fece per aprire lo sportello,l’altro più robusto tentò di fermarlo ma ormai era tardi: nel buio luccicò qualcosa come occhi di gatto.Era vetro.Erano bottiglie di birra.

L’infermiere biondo fissò il collega incredulo:

«Ma ancora qui stanno?Ti avevo detto di portarle via!»

«Sì, lo so… ma che ne sapevo io che succedeva tutto ‘sto massacro proprio oggi?»

«Non mi dire… cazzo,non mi dire che le celle sono tutte occupate!»

«Giorgio,non t’incazzare,ragiona:come facevo io a prevedere che oggi ci sarebbe stato un casino del genere?Come potevo prevederlo?»

Giorgio,il biondo,stava perdendo la pazienza,gli occhi iniettati di sangue.

«Aspetta!Ragiona!»cercava di calmarlo l’altro,«quando mai abbiamo avuto tutti i cassetti occupati? Pensaci,non è mai successo.È sfiga!Non c’entro io,è sfiga!»

«E ora come cavolo facciamo?»sibilò Giorgio.

«Se scoprono che usiamo le celle per la birra ci licenziano a tutti e due!»

«No… non è detto…» L’altro prendeva tempo.O forse aveva un’idea.Un’idea strana,assurda.
Ma anche l’unica via d’uscita possibile.
«Che ne dici?»
«Dico che in due non ci stanno» tagliò corto il biondo,ma in realtà era titubante.
«Sì che ci stanno!»insistette il collega.
«Magari li mettiamo uno sopra l’altro,ma ci stanno!

Aprirono un altro cassetto,tirarono fuori un lettino di ferro –sopra era distesa una ragazza,nuda,un corpo sinuoso da favola.I due infermieri non poterono fare a meno di soffermarsi a guardarla.

«…ci dovrebbe ringraziare» fece quello robusto,senza ironia,e l’altro cogli occhi ancora fissi sui seni turgidi della ragazza non lo rimproverò.Accostarono la lettiga di Santo,portarono il corpo all’altezza del cassetto e si prepararono a trasferirlo accanto alla morta.

Lei tremava come un cucciolo di ratto,gli occhi sbarrati nella penombra della stanza,e tossiva piccoli gemiti come singhiozzi.Gli spasmi erotici non l’avevano risparmiata:ancheggiava sfregando le natiche contro il fondo di metallo freddo del cassetto.I suoi capezzoli erano gonfi e duri,una ragazza nel fiore dell’età,bellissima.

A Santo non interessava,ne aveva orrore,ribrezzo.Non voleva nemmeno toccarla,figurarsi essere schiacciato contro di lei in quel cassettino stretto.Ma gli infermieri,ignari delle sue grida e del suo dibattersi,li sistemarono sul fianco uno contro l’altra senza tante cerimonie;per loro i due erano solo carne morta.Gli incrociarono insieme i piedi,fecero aderire bene il ventre di Santo alla schiena della ragazza e riuscirono a spingere la barella nel muro e chiudere lo sportello.

Erano al buio.Pigiati uno contro l’altra.Il corpo di Santo reagiva al contatto con la morta un’eccitazione mai provata prima gli pulsava nelle tempie,le spalle rabbrividivano,i pettorali guizzavano, la colonna vertebrale era un lungo inarrestabile flusso di piacere che si accumulava tra i glutei e le gambe.Tutto un bruciore che portava entrambi a sfregarsi selvaggiamente uno contro l’altra.Contro la volontà di Santo,e forse anche contro quella della ragazza che continuava a singhiozzare.

Ma il piacere fisico sormontò presto l’angoscia mentale,e i singhiozzi di lei divennero spasmi di godimento,e lui controvoglia percepì il suo membro farsi strada tra le gambe della morta,e al contrario di ciò che pensava la trovò calda.E la odiò mentre la penetrava,e lei spingeva contro Santo e il toc-toc che lui sentiva era la fronte della morta che batteva contro l’alluminio del cassetto a ogni spinta.

Le parole di Barbara,le sue incertezze riguardo al tradimento: adesso sembrava lei quella saggia,quella matura,e Santo un ingenuo,un don Chisciotte,un ignorante.

«Non puoi mai sapere cosa ti riserva la vita» diceva Barbara a proposito delle corna.
«Siamo animali, in fondo» cercava di spiegargli.

E lui metteva il broncio come un bambino.E adesso? Lui era lì che si sbatteva una morta e non poteva fare a meno di godere.Ed era un godimento strano,bruciava come un’infezione,come se tutta la pelle fosse gonfia,infiammata,come se il suo membro gocciolasse pus incandescente.E non c’era orgasmo perché era un continuo orgasmo. Infinito.

Santo cercò di pensare a Barbara,a quando faceva l’amore con lei,come a voler sminuire il tradimento che stava compiendo.

«Ah,allora se muoio tu fai passare un po’ di tempo e andrai a letto con qualcun altro,no? Se siamo animali! Mentre io marcirò da solo,al freddo!» le aveva detto una volta.

E invece era lui che impazziva di piacere e lei a casa a piangerlo morto.Avrebbe scommesso che era lì nella sua stanza al buio a giurargli fedeltà.Fedeltà per sempre.Quale fedeltà? Un giorno anche lei si sarebbe ridotta a una baldracca di carne morta in cerca solo di uno spigolo contro cui sfregarsi come questa vacca qui con lui.Non riusciva a pensare diversamente della ragazza con cui stava facendo l’amore.

Non riusciva a non provare ribrezzo,lei era sporcizia mentre Barbara era candore e calore.Lei era freddo e oscenità,era repellente,era disgustosa e non la smetteva di schiacciarsi di schiena contro di lui e gemere.E allora Santo la respinse pur continuando a remarle dentro,le tempestò la schiena di pugni fino a sentirla guaire come un cane,le graffiò il viso,la fece urlare senza pensare che non potevano essere grida di dolore perché il corpo ormai riconosceva qualunque forma di contatto solo come piacere.

La morta riuscì a voltarsi, si aggrappò con le unghie alla faccia di Santo,e lui capì che anche lei lo odiava,e continuarono a sfregarsi picchiandosi come selvaggi,guidati dal faro accecante della rabbia e del panico.Santo era più forte,la costrinse giù,le montò sulla schiena,il suo ventre indipendente cercava il sesso della morta,e la prese ancora,forse davanti o forse dietro,sporcandola con il denso flusso giallastro ininterrotto che sentiva scorrere dalla punta del membro.

La mattina seguente gli infermieri aprirono il cassetto e li trovarono come li avevano lasciati.Ripeterono al contrario le operazioni della sera prima,sistemarono Santo sulla lettiga e lo portarono al centro della stanza.Le grida non si erano placate,non si erano affievolite.Tutt’intorno a Santo i morti si dibattevano avvolti nelle federe bianche.

Il corpo di Santo bruciava più che mai.Meccanicamente simulava l’atto sessuale spingendo col bacino. Gli prudevano le labbra ed era costretto a morderle,e più mordeva più gli piaceva.Oramai sentiva la sua stessa carne come una cosa estranea,dura e gonfia,che presto si sarebbe staccata e caduta.Gli infermieri lo sistemarono su un piano di acciaio inclinato,sopra di lui un rubinetto.

Poi entrarono i medici del giorno prima,indossavano guanti di plastica.Il più anziano si chinò con in mano una piccola sega circolare.Santo riprese a urlare.Strillava anche la sega, gridavano i morti attorno a lui.

Quando l’attrezzo tranciò la pelle,Santo provò un piacere talmente forte che gli venne voglia di essere mangiato,masticato.Non voleva che finisse.Delle costole che si spezzavano sentì solo il rumore,ma quando il patologo gli palpò gli organi interni riecco il piacere.Stavolta rilassante e rassicurante come un tocco materno.

Il dottore gli segò via la calotta cranica ed ecco ancora quella sensazione di prurito irresistibile ed eccitante come sfregarsi una grattugia sulla fronte.Santo non aveva idea di quale fosse l’iter di un’autopsia.Ebbe un momento di panico quando capì che il dottore gli stava asportando il cervello. Convinto che la sua esistenza post-morte dipendesse da quello,s’irrigidì nell’attesa di spegnersi.
Ma non accadde.

E allora si chiese cosa mai poteva succedere adesso.A cosa era legata la sua coscienza? Avrebbe continuato a esistere intrappolato nel corpo per decenni,sepolto dentro una bara in attesa che il suo cadavere si decomponesse e sbriciolasse? Pure quando la sua carne avrebbe generato i vermi che poi se la sarebbero divorata?

Era la cosa che gli faceva meno paura perché intuiva che sarebbe stato piacevole essere rosicchiato a poco a poco.Ma passare i decenni rinchiuso in una bara?

Il patologo ricucì la testa,gettò il cervello dentro il petto e ricucì anche lì.Lo avvolsero nella federa bianca e lo lasciarono.La federa era rozza,pungeva,infiammava la carne già infiammata,e Santo si unì al coro degli altri morti.Ma loro non si dimenavano per liberarsi dalla coperta bensì per potersi strofinare meglio contro.

Non avvertì i passi che si avvicinavano.Sentì però i lamenti,il pianto,diversi da quelli metà godimento e metà angoscia,animaleschi,degli altri morti. Qualcuno gli scoprì la faccia,e Santo vide sua madre.In lacrime,nel pugno un fazzoletto zuppo che lei quasi masticava.C’erano sua sorella,suo padre,la zia.

C’erano la madre di Barbara,il padre.Santo cercava lei,ma lì intorno non c’era.I parenti gli accarezzavano il viso, gli baciavano la fronte.Pianse.Erano tutti vestiti di nero.

Ecco la verità: lui era morto.Era l’ultimo saluto. Non avrebbe più rivisto Barbara.Lo aveva sospettato che non sarebbe venuta.Lì all’obitorio a vederlo cadavere,con la coroncina di filo nero sulla fronte,la bocca aperta.No,non sarebbe venuta e lui non l’avrebbe mai più rivista.

La chiamò.Pregò la mamma di aiutarlo,strillò come un bambino prepotente:«Ma perché non mi senti, perché non mi vedi? Non lasciarmi qui.Non lasciarmi qui,mamma! Dov’è Barbara? Oddio! Amore mio, Barbara, dove sei? Dove sei? Oddio no,sono morto! Non voglio essere morto!»

E gli altri morti intorno facevano eco.

Poi dal corridoio giunse un clangore fastidioso e spuntò un carrello – sopra c’era una specie di scafandro di ferro,grigio,sul coperchio era montato una sorta di manubrio.Era una cassa.Per lui.

Mentre lo trascinavano via dai suoi cari e loro rimanevano lì a fissarlo impotenti,Santo si aggrappò alle giacche,ai capelli,alle mani come un bambino che non vuole essere portato via.Ma era inutile.A mani tese verso la sua famiglia,Santo vide gli infermieri aprire un cassetto,trarne fuori una giovane donna: era la morta con cui aveva passato quella notte d’inferno.La riconobbe.

Come risvegliandosi da un sogno,quando ci si mette un po’ a distinguere il volto di chi ci sta accanto, Santo si accorse che era Barbara.

Certo che era Barbara.Non lo sapeva? No,non sapeva che fosse Barbara la morta nel cassetto con lui, questo no,ma che anche Barbara fosse morta lo sapeva,no? Doveva saperlo.Si diceva:«Certo che lo sapevo. Lo sapevo nell’ambulanza,lo sapevo mentre mi portavano all’obitorio,lo sapevo quando hanno detto che ero morto.Lo sapevo come sin dall’inizio sapevo di essere morto.Lo sapevo ma lo avevo scordato.Non ricordavo,anzi,non volevo ricordare.Non volevo pensare.Eppure sapevo.Perché nessuno poteva essere sopravvissuto a quell’incidente,e in macchina accanto a me c’era lei.Lo sapevo.Il mio più grande,unico amore,e io non sono riuscito a pensare che a me stesso.Solo a me stesso.Non ho avuto tempo,non potevo sopportare di dover pensare anche a lei.Ho scordato.Ho fatto finta di dimenticare…»

E adesso finalmente la vedeva.Eccola lì,proprio ora che lo stavano portando via.Aveva avuto tutta la notte per stringerla a sé e non l’aveva riconosciuta.Gridò il suo nome mentre lo infilavano dentro lo scafandro.Strillò il suo nome.Ma lei non capiva.Come se non lo sentisse.Per lei quel nome non significava più niente,la voce di Santo non significava più niente.La morte l’aveva fatta impazzire come forse un po’ tutti in quella stanza.E Barbara era ancora lì ad agitarsi come una baldracca,cercando spasmodica qualcuno che placasse il bruciore che aveva tra le gambe,offrendosi agli occhi freddi degli infermieri, a quelli disperati dei genitori.

Gli altri morti dovevano aver sentito il suo odore,come lo percepiva Santo,perché le urla si fecero più acute,e lei come una cagna era lì pronta a offrirsi a chiunque.Come un animale.L’ultima cosa che Santo vide fu il padre di Barbara che si gettava singhiozzando sul corpo della figlia,e lei che frenetica gli si strusciava addosso.

Poi il coperchio dello scafandro calò pesante,l’infermiere lo sigillò serrando il manubrio e lo portarono via.Le grida di Santo si persero per il corridoio insieme all’eco cupo dei colpi che sferrava contro la pancia dello scafandro,che rimbombavano come campane fantasma in festa.

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